Esattamente un anno fa salivo su un treno alla stazione Finlandia di San Pietroburgo con destinazione Vyborg, città russa a una manciata di chilometri dal confine finlandese. Freddo boia (-27) ma finalmente rilassato dopo una settimana di raggelante lavoro non stop nella città degli zar per Bell’Europa. Tempo addietro avevo intravisto Vyborg in alcune foto sul web e mi aveva fatto una certa impressione. Detto, fatto.
Un paio d’ore di viaggio in un treno di pendolari ed eccoci a Vyborg in the middle of the night. Pensavo di aver prenotato una camera singola in un bed and breakfast e mi ritrovo invece in una camerata al neon di un appartamento riadattato a ostello, farcita di variopinta umanità. Rammento una signora cotonata e in là con gli anni impegnata a leggere sul proprio letto, un operaio dai lineamenti alla Ivan Drago seduto al tavolo nel bel mezzo della camera alle prese con salsicce e cetrioli, un anziano signore in piedi a guardare la tv. Gentile omaggio di Booking.com.
Il mattino dopo sono pronto a godermi Vyborg! Non fosse che appena fuori mi schianto nuovamente contro i maledetti -27 gradi che da giorni mi seguono come un ombra. La foto di apertura – scattata con l’Iphone – credo renda abbastanza l’idea.
Poi, all’improvviso, mentre deambulo semi-ibernato per la piazza Rossa (yes, non è solo appannaggio di Mosca), un volto conosciuto. Massì, è proprio lui, Vladimir! Non per nulla partì proprio da Vyborg, in quel giorno d’ottobre 1917, alla volta di San Pietroburgo dove avrebbe dato il via alla Rivoluzione. A scolpirlo nel 1932 pare sia stato il georgiano Shota Mikotadze.
Vyborg fu parte del bottino dei vincitori che la Russia si portò a casa al termine della seconda guerra mondiale, ma prima di allora finlandese fu. E in effetti il centro storico – in potenza notevole ma assai bisognoso di retauri – tutto sembra tranne che russo. Ma evidentemente ero saturo di foto e di freddo, perché tranne un paio di brutti scatti col cellulare non trovo niente di che nel mio archivio.
Tra i brutti scatti il castello duecentesco che da un isolotto domina la città. A volerlo furono gli Svedesi, che ne fecero l’avamposto più a est e del loro regno medievale. Di duecentesco in realtà c’è rimasto poco, in quanto il complesso è stato restaurato e modificato a più riprese, e dunque le sembianze odierne risalgono ai massicci lavori effettuati nel 1890. Ciò non toglie che sia un gran bel vedere e offra una vista notevole sulla città.
Altrettanto notevole è la biblioteca cittadina, gentile lascito di sua maestà Alvar Aalto. Se il centro storico sembra piuttosto trascurato, questo capolavoro funzionalista dell’archistar finlandese è invece perfettamente in forma, dentro e fuori. Nel 1992 la Fondazione Alvar Aalto e il governo finlandese lanciarono infatti una campagna per il restauro completo dell’edificio e vennero istituiti due comitati congiunti (finlandese e russo) con lo scopo di studiarne la realizzazione tecnica e assicurare la copertura finanziaria. I lavori di restauro, costati circa nove milioni di euro, sono durati quasi un ventennio, dal 1994 al 2013, ma ne è valsa decisamente la pena, tanto che nel 2015 la biblioteca è stata insignita del prestigioso premio internazionale Europa Nostra.
La sua costruzione risale al periodo 1930-1935, a seguito del bando vinto da Aalto nel 1927, e ai candidi esterni tipicamente nordici fa da contrappunto l’ampio utilizzo di legno per gli interni. Lo snapshot (anche questo da telefonino, sorry) soprastante, a sinistra, ritrae parte del magnifico auditorium.
Qui finisce la storia di Vyborg. Anche perché, onestamente, complice la temperatura insostenibile di quei giorni di gennaio, vi rimasi meno di 24 ore. Ma proprio per questo conto di tornarvi a breve e magari mettere in piedi un reportage come si deve. Stay tuned, come dicono in Madagascar.